[edited by G. Brock, Farrar Straus and Giroux, New York 2012]
Un repertorio antologico bilingue che riesca a dare un buon quadro complessivo della poesia italiana del Novecento è un’operazione di critica comparatistica pregevole. Per questo è importante segnalare l’uscita dell’antologia curata da Geoffrey Brock, che raccoglie settantacinque poeti italiani, dai modelli primonovecenteschi di Pascoli e D’Annunzio alla contemporaneità. La strada interpretativa del curatore ha per metro il grado di «eloquenza» nella scrittura e può essere descritta come una parabola che si sviluppa in crescendo fino alla fine degli anni Sessanta, per poi decrescere in una stagnazione («something like a taxonomic sleep») caratterizzata da una tendenza espressivistica monadica («“monadic” enterprise»), fino alle forme più recenti, per le quali Brock usa la denominazione ottimistica di «era of “New Eloquence”».
Se la visione d’insieme risulta condivisibile, anche a fronte della scelta accurata delle versioni in lingua, a uno sguardo ravvicinato si nota che il “principio dell’eloquenza” tende a semplificare un quadro letterario che si nutre di una complessità ben più articolata, lascia falle aperte per l’omissione di alcuni autori e di alcuni testi significativi, con il risultato di far apparire l’antologia un’operazione editoriale, piuttosto che culturale, il cui potere canonizzante può sembrare incompleto. Anzitutto, nell’introduzione si fa riferimento a un sistema che raggruppa i poeti “maggiori” della prima parte del secolo in triadi esemplari: Pascoli-D’Annunzio-Carducci e Montale-Ungaretti-Saba. La classificazione triadica è il primo punto da rivedere, decisamente obsoleta, memore di un approccio deduttivo e generalista definitivamente superato con Poeti italiani del Novecento di Mengaldo. Si può discutere, inoltre, se sia corretto parlare di Novecento poetico includendo in esso Pascoli, D’Annunzio e Carducci: ma si comprende che l’esigenza di presentare la poesia italiana a un pubblico non italiano possa aver forse reso necessaria questa inclusione.
Il “principio dell’eloquenza” porta Brock a usare anche espressioni semplificatrici come «minimalist masterpieces» per i versi del primo Ungaretti, ad accostare Saba a Robert Frost, a definire Montale un autore ermetico, senza considerare che, in una prospettiva comparatistica, proprio i legami con la tradizione anglosassone fanno della poesia montaliana uno degli esempi più notevoli di classicismo moderno. Inoltre, lo stile antieloquente della linea lombarda è descritto attraverso un’analogia con i poeti crepuscolari del primo Novecento, e gli autori le cui opere più importanti seguono cronologicamente la Neoavanguardia vengono lasciati in una imprecisa sospensione magmatica che non riconosce né il lirismo tragico di Sereni o Fortini, né il neocrepuscolarismo di Giudici o Risi, né la novità linguistica di Zanzotto. Forse l’assenza di alcuni testi fondamentali è dovuta proprio all’approccio generalista e deduttivo dell’antologia: mancano, per citare due esempi eclatanti, Arsenio di Montale e I fiumi di Ungaretti. In più, non compaiono poeti come Elio Pagliarani tra quelli più significativi degli anni Sessanta; tra quelli degli anni Settanta-Ottanta non si trovano autori come Giampiero Neri; mentre, tra quelli degli ultimi due decenni, non vengono riportati nomi significativi come Mario Benedetti.
Se il criterio di non dedicare spazio ad autori della Neoavanguardia o ad autori della contemporaneità più prossima può apparire logico per scelte di gusto critico, non può essere accolta la mancanza di alcuni testi imprescindibili della nostra tradizione poetica. Resta la pecca maggiore di questa antologia che pure rappresenta un volume considerevole per lo studio comparatistico e contrastivo della poesia italiana.
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